Come usare il campo gravitazionale della Terra per rilevare i terremoti

Le impercettibili variazioni nella gravità del pianeta potrebbero migliorare i sistemi di allerta per i sismi, ma rintracciarle non è facile
Una voragine in una strada
Una voragine in una stradaLuis Diaz Devesa/Getty Images

Per un breve periodo nel 2011, subito dopo il cedimento di due placche tettoniche al largo della costa orientale del Giappone, la gravità ha vacillato. Il campo gravitazionale della Terra è il risultato di una distribuzione della materia; quando enormi volumi di terra e acqua si spostano improvvisamente, come accade con un terremoto, questa distribuzione cambia. Le forze che fanno sì che la luna rimanga vicina, che mantengono la densità dell'atmosfera e che tengono i nostri piedi al suolo si sono riallineate. Il mondo intero è scattato, pochi secondi prima che arrivassero le onde sismiche e che il Giappone tremasse per davvero. 

Non che qualcuno se ne sia accorto. Anche le scosse più forti, come il terremoto di Tohoku del 2011, hanno un effetto impercettibile sulla gravità. Ma per i sismologi abituati ad ascoltare da vicino i rumori della Terra, questi cambiamenti rappresentano da tempo una possibilità allettante: un fugace segnale sismico, che si propaga attraverso il globo alla velocità della luce. Negli ultimi anni, gli scienziati hanno setacciato i dati dei grandi terremoti alla ricerca dei segni di queste perturbazioni gravitazionali, che sono elusive e ancora piuttosto controverse nel campo della sismologia. Ma con l'aiuto di strumenti più sensibili e di migliori modelli informatici, i ricercatori hanno iniziato a scovarle.

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Ora gli scienziati si stanno avvicinando a mettere a frutto questi dati. In un articolo pubblicato su Nature, alcuni ricercatori descrivono un sistema di allerta sismica che si basa solo su segnali derivati dalla gravità. Hanno testato il loro modello sui dati sismici del terremoto di Tohoku, scoprendo che il sistema era in grado di rilevare con precisione il sisma circa otto secondi prima dei metodi precedenti, fornendo una stima migliore della sua enorme portata. La ricerca rappresenta una prova di fattibilità legata a un singolo evento, ma si ripropone anche di verificare se in futuro il metodo potrebbe far guadagnare secondi preziosi ai sistemi di allarme rapido. "Stiamo dimostrando che si tratta effettivamente di un segnale e che può essere utilizzato – spiega Andrea Licciardi, sismologo dell'Université Côte-d'Azur, in Francia, che è stato a capo della ricerca –. Questi dati non venivano nemmeno guardati, ma sono di livello paragonabile, se non migliore, rispetto ai segnali esistenti".

I principali segnali attualmente disponibili sono le onde P, increspature sismiche che si verificano quando la roccia si comprime e vibra a causa di una scossa improvvisa. Quando queste onde raggiungono le stazioni sismiche, dei software individuano rapidamente l'origine del terremoto e ne stimano le dimensioni. L'obiettivo è quello di allertare la popolazione prima che si verifichino i movimenti ascendenti e discendenti delle onde S, un tipo di scossa più lenta che spesso è causa dei danni maggiori. Negli ultimi anni, i progressi nella strumentazione e negli algoritmi hanno portato allo sviluppo di sistemi di allarme più rapidi e affidabili. Ma le onde P viaggiano in genere a pochi chilometri al secondo, un aspetto che rappresenta un ostacolo per la velocità di rilevamento.

Dal momento che viaggiano alla velocità della luce, le perturbazioni gravitazionali sono più rapide. "È più veloce di qualsiasi altro metodo di cui disponiamo oggi", spiega Martin Vallée, sismologo dell'Università di Parigi, che ha lavorato alla rilevazione dei segnali. Queste perturbazioni sono anche molto meno potenti rispetto alle onde P, il cosa che rende più difficile distinguerle dal peggior nemico dei sismologi: il rumore. Il frastuono della terra è costante, un coro di piccoli eventi generati da esseri umani, scosse sismiche e turbolenze nell'aria e nell'oceano, che rendono estremamente difficile percepire i primi accenni di un grande terremoto. I sismologi hanno bisogno di un segnale che indichi chiaramente ciò che sta per accadere. Se il rumore viene percepito in modo sbagliato, i milioni di persone che abitano le città potrebbero riversarsi in strada a cercare riparo senza alcun motivo.

Il dibattito tra i sismologi

Da decenni i sismologi discusso sulla possibilità di rilevare questi fenomeni in modo chiaro. Esistono strumenti per osservare direttamente le onde gravitazionali, come le imponenti strutture Ligo in Louisiana e nello stato di Washington, che però sono utili soprattutto agli astronomi e non rappresentano un metodo pratico per rilevare i piccoli spostamenti causati dai terremoti. Le fluttuazioni vengono invece osservate indirettamente dai sismometri, che rilevano la risposta della Terra per contrastare lo spostamento della massa. Il problema è che le variazioni di gravità e le reazioni elastiche si annullano a vicenda, producendo un segnale molto debole, noto come prompt elastogravity signal, segnale elastogravitazionale immediato, o Pegs. 

Le onde sismiche di un grande terremoto sono facili da vedere. Pensate alla classica immagine di un sismografo, in cui la matita traccia le onde sulla carta all'arrivo della scossa. Anche per occhi molto allenati, i Pegs rappresentano solo dei ghirigori, e sono indistinguibili dal rumore. È difficile dimostrare la loro presenza. Nel 2017, le prime identificazioni dei Pegs nei dati sismici di Tohoku sono state contestate da altri sismologi. 

Nel corso del tempo, però, i ricercatori hanno potuto osservare un numero maggiore di terremoti in tutto il mondo. "Mi sono convinto che la teoria sia corretta", afferma Maarten de Hoop, sismologo computazionale della Rice University che non è stato coinvolto nella ricerca. Spinto in parte dalle polemiche sui primi rilevamenti, de Hoop ha cercato di dimostrare matematicamente se le fluttuazioni gravitazionali siano o meno osservabili. La chiave, dice, è esaminare i dati nei primi momenti del terremoto, prima che le onde P arrivino ai sensori. A quel punto, le due forze "non si annullano completamente", il che significa che in teoria esiste un segnale che si può rilevare in mezzo al rumore. Tuttavia, non è ancora chiaro se i sismologi siano effettivamente in grado di separare i due fenomeni. 

IL nuovo studio

La nuova ricerca offre una prima conferma in questo senso, spiega de Hoop. Una cosa chiara è che gli strumenti attuali sono in grado di distinguere i segnali gravitazionali dal rumore solo durante i terremoti più forti, con magnitudo superiore a 8,0, come i sismi che colpiscono luoghi come il Giappone, l'Alaska e il Cile. Poiché questi enormi terremoti sono rari, il team di Licciardi ha creato una serie di dati su terremoti ipotetici, aggiungendo il rumore sismico rilevato nelle stazioni di tutto il Giappone. Il rumore è stato utilizzato per addestrare un algoritmo di apprendimento automatico in grado di rilevare l'inizio di un terremoto e di stimarne le dimensioni.

Quando i ricercatori hanno applicato il modello ai dati in tempo reale registrati dai sensori durante il terremoto di Tohoku, sono stati necessari circa cinquanta secondi per fornire un rilevamento accurato, battendo recenti metodi all'avanguardia, tra cui quelli basati su gps che misurano il movimento del suolo subito dopo un terremoto. Una differenza di otto secondi può sembrare poco rilevante, ma "è molto nel contesto dell'allerta tempestiva", osserva Licciardi, soprattutto in scenari come quello del terremoto di Tohoku, in cui ai residenti della costa sono stati dati solo pochi minuti per evacuare prima dell'arrivo dello tsunami. 

I ricercatori, inoltre, sottolineano che il nuovo modello è stato più preciso nello stimare la dimensione del terremoto, un aspetto fondamentale per prevedere la portata di uno tsunami. In Giappone, nel 2011, le prime stime indicavano un terremoto di magnitudo inferiore a 8,0, facendo pensare a un'ondata molto inferiore. 

Il metodo è ancora lontano dal diventare una tecnica applicabile in modo pratico. Secondo  Thomas Heaton, sismologo del CalTech, l'obiettivo principale dei sistemi di allerta precoce deve essere quello di rendere le allerte più efficaci, testando i metodi esistenti in modo che, quando viene emesso un allarme, le persone lo sentano e sappiano come reagire. "Il nostro problema non sono i sensori, ma come ottenere i dati dal sistema e dire alle persone cosa fare", aggiunge.

Tuttavia de Hoop, che si definisce "entusiasta" del nuovo lavoro, sottolinea che il sistema rappresenta una tabella di marcia per migliorare i metodi esistenti con dati migliori e tecniche di apprendimento automatico. La chiave per far funzionare questo metodo anche con i terremoti più comuni e limitati sarà capire come abbassare la soglia di magnitudo per rilevare i segnali gravitazionali, cosa che potrebbe richiedere sensori in grado di rintracciare direttamente i cambiamenti nel campo gravitazionale. "Penso che ci sia una grande quantità di informazioni e di lavoro da fare", spiega de Hoop.

Questo articolo è comparso originariamente su Wired US.